In principio fu il il GDS. Erano i fantastici anni ’60 quando Sabre sviluppa il primo sistema di prenotazioni elettroniche (Global Distribution System, appunto) per l’American Airlines.
Visto il grande successo del tool, un decennio dopo arriva Galileo (di nuovo a opera di una compagnia a stelle e strisce, la United Airlines) e alla fine degli anni ’80, grazie agli sforzi combinati di Air France, Iberia, Lufthansa e la scandinava SAS, sbarca anche oltreoceano Amadeus, risposta europea ai GDS americani.

Sebbene inizialmente nati per la biglietteria aerea, presto i GDS si estendono a macchia d’olio a tutto il travel, fino a monopolizzarlo. Non solo flights, quindi, ma anche car rental, biglietti per treni, navi e, quello che più ci interessa in questa sede, hotel.

La corsa all’oro delle prenotazioni disintermediate

In questo periodo (che Jason Price, in un bell’articolo pubblicato su Tnooz qualche tempo fa, definisce “romantico”), l’intervento strategico di un hotel per la vendita delle proprie camere era sostanzialmente limitato a fornire tariffe nette statiche, inventory e foto ai propri distributori.
E l’atteggiamento passivo dell’albergatore cambia di poco quando, agli albori della web revolution, i GDS approdano sulla rete.
Anche allora, l’unica differenza per gli hotel fu che i loro interlocutori cominciarono a essere sempre meno esseri umani (gli agenti) e sempre più degli “Switch”.

Sembra Preistoria, ma ancora fino al 2000 (e, per quanto riguarda l’Italia, anche oltre) la parola “disintermediazione” non significava nulla in ambito alberghiero, e il lavoro di un albergatore iniziava e finiva all’interno del suo hotel.
Nessuna azione di marketing era contemplata, non si doveva essere degli esperti di SEO o di SEM, né avere conoscenze di Yeld Management.
Bastava un GDS, una bella camera e qualche brochure sul bancone del front office.

Se chiedete a un albergatore vecchia guardia vi parlerà con nostalgia di quei tempi, tuttavia nessun mercato di monopolio è capace di resistere per sempre, e sottostimare questa costante storica può portare a dei risultati catastrofici.

Ma quali sono state le cause principali della perdita di mercato da parte dei GDS?

Secondo uno studio pubblicato da Global Aviation Associates, Ltd. nel 2002 intitolato “The Economics of Travel Distribution In an Internet Driven Environment” si legge che tra il 1990 e il 2000 le booking fees dei GDS sono cresciute di addirittura il 7% ogni anno. A queste ultime, inoltre, andava aggiunta la commissione dell’agenzia (che nel 1994 raggiunse il picco del 12%). Questi altissimi costi, di fatto, tagliarono gli hotel indipendenti fuori dalla distribuzione GDS, che in quel momento diventava (quindi) appannaggio unico di big player e chain hotel.
L’altro motivo dietro la caduta dei GDS è quello che il filosofo Nassim Nicholas Taleb definisce un “Cigno Nero“, ovvero uno di quegli eventi rari e imprevedibili dei quali è piena la Storia (tanto da chiedersi, a ben vedere, se il Cigno Nero non sia l’eccezione ma la regola).
A cosa mi riferisco?
Rileggete qualche riga sopra: “Tra il 1990 e 2000 le booking fees dei GDS sono cresciute di un 7% ogni anno”.
Cosa è cambiato nel 2001?
Per rispondere a questa domanda basta ricordare che quello dei GDS è (stato) un business trainato soprattutto dalle transazioni aeree, e dopo l’ 11 settembre di quell’anno il mercato flights ricevette un colpo durissimo dal quale (in parte) non si è ancora del tutto ripreso.
E non è un caso che proprio in quel momento le OTA iniziarono a guadagnare terreno (Booking.com è stata fondata nel lontano 1996, ma chi di voi si preoccupava di disintermediare all’epoca?).
In questa “rivoluzione” (non solo digitale, ma anche storica) l’albergatore ha cominciato a trovarsi in una situazione del tutto nuova: non era più sufficiente stilare un listino prezzi annuale e stampare qualche brochure, ma bisognava creare delle strategie coerenti, passare alla tariffazione dinamica, ascoltare i trend di mercato, studiare i flussi, bilanciare la propria distribuzione, e così via.
La figura dell’albergatore come “padrone di casa” viene spazzata via per sempre, e la “colpa” non fu solo di Internet, come abbiamo visto, ma anche di una serie di avvenimenti del tutto non prevedibili che poco hanno a che fare con il web.
La situazione si complica ulteriormente con il passaggio dal web 1.0 a quello 2.0, quando gli hotel devono iniziare a convivere (più o meno pacificamente) anche con gli user generated contents, prime su tutte le recensioni online (anche qui una coincidenza interessante: TripAdvisor è stata fondata nel 2000, ma all’epoca si presentava così: )

tripadvisor

Si entra in quell’era del web dove nessun hotel è più quello che dicono le stelle appese in bella mostra dopo il nome, ma quello che dicono gli ospiti. Si passa da un sistema di “star rating” a uno di “guest rating”, sistema questo ancora non del tutto metabolizzato da buona parte dell’imprenditoria italiana.

Tuttavia, l’effetto collaterale positivo di questa maggiore consapevolezza ha svolto la funzione di “wake up call” per gli albergatori, che iniziano timidamente a capire che possono vendere parte delle loro camere non solo affidandosi a dei (cari) distributori, ma anche direttamente.

E’ bene partire dall’assunto che il motivo per il quale nessun albergatore si lamentava dei costi di distribuzione dei GDS negli anni ’90, non è perché questi fossero bassi (anzi, come abbiamo visto erano anche più alti delle commissioni medie che una qualsiasi OTA richiede oggi), ma perché a nessun albergatore sarebbe mai venuto in mente di vendere e pubblicizzare direttamente la sua struttura.
Sarebbe stato come chiedere a un operaio cinese che lavora 14 ore al giorno in uno stabilimento Nike di creare la nuova campagna pubblicitaria del brand.

Ecco quindi nascere da parte degli hotel l’interesse per il SEO prima, il Revenue Management poi, fino al SEM, la social strategy, l’e-reputation, il SO.LO.MO. e così via. Una Babele di opportunità e possibilità che, se non comprese correttamente, possono tuttavia mettere gli albergatori nella paradossale situazione di spendere per una prenotazione “disintermediata” molto più della commissione media richiesta da una OTA.

Sfatiamo il Mito dietro la disintermediazione: una prenotazione diretta NON è il Sacro Graal, e il fine ultimo di ogni albergo (e, in ultima analisi, di ogni azienda) rimane solo e esclusivamente quello di fare profitto rimanendo all’interno di un sistema distributivo bilanciato e non quello di ricevere esclusivamente prenotazioni dirette. Ricordiamo che ogni prenotazione disintermediata ha un prezzo, e questo prezzo non deve mai superare il costo medio distribuzione.

Nel suo ultimo libro (David and Goliath, ancora inedito in Italia), lo scrittore e giornalista del New Yorker Malcolm Gladwell rielabora la famosa teoria della U-Rovesciata:

curva

“La U-rovesciata è composta da tre parti, e ogni parte segue una logica diversa: c’è il lato sinistro, dove avere di più o fare di più migliora le cose.
C’è la parte centrale, dove avere di più o fare di più non fa particolare differenza. E poi c’è il lato destro, dove avere di più o fare di più peggiora le cose”

Ora, applichiamo il modello “U Rovesciata” alla distribuzione di un hotel.

Se un albergo si trova nel lato sinistro della U significa che la sua distribuzione è pericolosamente sbilanciata a favore delle OTAs. E’ una situazione preoccupante, quella che spesso gli albergatori descrivono con la calzante espressione “Booking.com è un mio socio occulto”.
Questo hotel è in genere quello che non effettua nessuna scelta di marketing: spesso ha un sito datato, non ha booking engine o ne ha uno scadente, non alloca budget in advertising, etc. In questo caso ogni azione marketing (ovviamente corretta) migliorerà la sua posizione nella U, spostandolo sempre più verso destra, fino ad arrivare (allo stato dell’arte) al punto più alto della U rovesciata, dove costi e benefici sono in perfetto equilibrio.

In quella posizione si trovano gli hotel che hanno almeno il 50% di prenotazioni dirette e il resto diviso tra i vari intermediari, il tutto senza spendere più del 15-20% (media/Italia di commissioni OTA) per raggiungere questo risultato. Statisticamente la maggior parte degli hotel italiani si trova tra questi due punti della U.

Tuttavia c’è un terzo tipo di hotel, talmente ossessionato dal liberarsi delle “catene” delle OTA da spingersi oltre, fino a spendere il 50 o 60% in costi marketing, aumentando (è vero) le proprie prenotazioni dirette anche fino al 90% e oltre, ma con costi di disintermediazione assolutamente non sostenibili.

La parola “disintermediazione” è il mantra di tanti consulenti e agenzie di marketing più o meno improvvisati, ma è figlia dei tempi, quanto “Revenue Management” lo era cinque anni fa e “Search Engine Optimization” dieci.

(N.d.A.: Osservate come tanti revenue manager che hanno difeso i vari “Grasso” di turno per anni, oggi evitino di definirsi tali e preferiscano un più generico “consulente”, consci del fatto che in una società come la nostra fare un lavoro “fuori moda” è un peccato da nascondere…).

Il consiglio è di approcciarsi a una strategia di disintermediazione con la dovuta cautela e competenza, in quanto è facile perdere la visione generale di quanto viene speso per raggiungere risultati soddisfacenti.

Il dato “100% Diretto” non significa nulla se fuori contesto, e qualsiasi web-agency può farvi raggiungere questi numeri senza sforzo, ma per farlo avrà bisogno di talmente tanto budget (advertising, brandprotection, remarketing, sito web, booking engine, revenue management, retargeting, metaconnections, etc.) che alla fine una prenotazione diretta sarà costata il triplo di una intermediata. E ve lo dice uno che lavora per un’azienda specializzata nell’aumentare i direct booking, ma che lo fa con metodo, consapevolezza e rispetto per le aspettative dei clienti.

Come sempre per avere una buona strategia a medio-lungo termine (e tengo fuori il “breve” volutamente, in quanto NON esiste nessuna strategia a breve termine, solo “patch”) bisogna porsi degli obiettivi realistici, fissare un budget prestabilito per raggiungerli e fare in modo di tracciare correttamente il ROI di ogni azione intrapresa.

E, soprattutto, bandire la parola “disintermediazione”, tanto tra cinque anni sarà demodé come “Revenue Management”…

Articolo a cura di Simone Puorto, hotel marketing geek.

Crediti immagine: http://www.sabrehospitality.com